Autotutela: come difendersi dagli accertamenti del fisco divenuti esecutivi

15.02.2013 18:16

Autotutela

Difendersi dagli avvisi di accertamento con gravi vizi di irregolarità anche dopo la scadenza dei termini

 

Aspetti generali dell'autotutela


L’istituto dell’ autotutela o jus poenitendi è il potere che ha l’Amministrazione finanziaria di correggere un proprio atto illegittimo o infondato.
In sostanza, quando l’Amministrazione rileva che in un atto da essa emanato è contenuto un errore, in mancanza del quale lo stesso atto non sarebbe stato emanato o avrebbe assunto un contenuto diverso, ha la possibilità di annullarlo o correggerlo, evitando in tal modo di danneggiare ingiustamente il contribuente nei cui confronti è stato emesso, senza necessità di una decisione del giudice.
La correzione può avvenire a seguito di istanza presentata dal contribuente o essere conseguente ad iniziativa propria dell’ufficio competente.
L’esercizio dell’autotutela è una facoltà discrezionale il cui mancato esercizio non può costituire oggetto di impugnazione.
Questo istituto ha origine dal diritto amministrativo in cui l’autotutela viene intesa come la capacità dell’ente di “farsi ragione da sé” in via amministrativa, rispettando il principio di legalità.
I tratti salienti e comuni sia all’autotutela Amministrativa che Tributaria sono:
- la presenza di un vizio che si intende sanare d’ufficio;
- l’esercizio di un potere discrezionale;
- l’esistenza di un interesse pubblico a siffatto annullamento.


L’autotutela può essere distinta in :


1. autotutela ai fini di sanatoria:
si ha quando un atto viziato viene annullato e riemesso in assenza del vizio che aveva precedentemente; questa facoltà è esercitabile purché non siano trascorsi i termini di decadenza per la notifica degli atti impositivi;
2. autotutela a favore del contribuente:
costituisce la facoltà dell’amministrazione di annullare atti che risultano illegittimi o infondati.
Illegittimi: atti con errori attinenti gli aspetti procedimentali dell’attività istruttoria;
Infondati: errore sui fatti oggetto dell’imposizione e sulle questioni estimative attinenti alla quantificazione dell’imponibile.


Normativa


L’'istituto di autotutela è stato introdotto dall'art. 68 del D.P.R. 287/1992 - poi abrogato - e attualmente disciplinato dal D.L. 564/94 convertito nella legge 656/94 - integrato dalla legge 28/99- e dal decreto attuativo del ministero delle finanze n. 37/ 97.
Gli atti che possono essere annullati in via di autotutela sono:
- avvisi di accertamento e/o di rettifica, di liquidazione, di contestazione e di irrogazione sanzioni;
- atti di recupero crediti di imposta indebitamente fruiti anche in compensazione;
- iscrizioni a ruolo e cartelle di pagamento;
- atti di diniego di agevolazioni fiscali o di rimborso di imposte indebitamente richieste.
Essi devono contenere tassativamente:
- l’ufficio presso il quale si possono ottenere informazioni circa l’atto notificato e il nominativo del responsabile del procedimento;
- l’organo o l’autorità presso il quale è possibile promuovere il riesame;
- modalità, termini, organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere in caso di impugnativa.
La Pubblica Amministrazione può esercitare l’autotutela solo nei confronti dei privati e non di altre P.A. in quanto sono nella medesima condizione giuridica.


Come si manifesta l’autotutela


1. il potere di annullamento di ufficio: consiste nel ritiro con efficacia ex tunc dell’atto inficiato da un vizio di legittimità (violazione di legge, incompetenza,
eccesso di potere);
2. il potere di revoca: ritiro di un atto inopportuno o infondato per una diversa valutazione delle esigenze che sono alla base della emanazione dell’atto;
3. il potere di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento.


La finalità dell’autotutela


I principi ispiratori del potere di autotutela si possono ricondurre alla “esigenza di rapidità, di intervento e di utilità” con l’obiettivo di tendere ad un’ effettiva
riduzione del contenzioso. Alla base del provvedimento di autotutela deve porsi una motivazione inerente a ragioni di pubblico interesse e non uno strumento di tutela del cittadino, che per tutelarsi può usare altri strumenti; non bisogna quindi confondere l’autotutela con la tutela.Per pubblico interesse si può far riferimento al principio costituzionale di effettività della capacità contributiva, art. 53 Cost., secondo il quale al contribuente può essere chiesto di pagare solo in base alla propria effettiva capacità contributiva e non più di quanto effettivamente dovuto.
E’ possibile, anche, fare riferimento al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione stabilito dall’art. 97 Cost., il quale sta a significare, non solo svolgimento formalmente corretto dell’azione amministrativa, ma, anche, rispetto del principio di economicità, efficacia ed efficienza. In base ad esso, e a quanto richiamato dalla L. 30.11.1994, n. 656, l’amministrazione inizia o abbandona l’attività amministrativa per fattori legati al rapporto costi/benefici anche in caso di presenza di un’ obbligazione finanziaria. Si deve inoltre valutare la convenienza in termini di costi e ricavi al proseguimento della lite, considerando anche le eventuali spese che l’erario dovrebbe pagare in base al principio di soccombenza. Quando l’ufficio è convinto dell’erroneità o infondatezza della pretesa fiscale è opportuno non insistere in un infruttuoso contenzioso. Per la grande quantità di ricorsi che le segreterie delle commissioni tributarie devono gestire e in tutti quei casi in cui l’atto impositivo risulta privo di logica, infondato o illegittimo, lo strumento dell’autotutela
risulta essere molto efficace.


Autoaccertamento, riesame su iniziativa dell’Amministrazione


L’amministrazione finanziaria, ovvero l'ufficio che ha emesso l'atto, può provvedere di propria iniziativa, a seguito di riesame, ad annullarlo totalmente o parzialmente o sostituirlo in questi casi:
- errore di persona;
- evidente errore logico o di calcolo;
- errore sul presupposto dell'imposta;
- doppia imposizione;
- mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata (non oltre i termini di decadenza)
- sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolati, precedentemente negati;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'amministrazione.
Il Ministero delle finanze, con la circolare n. 198/98 ha inoltre chiarito che qualunque atto viziato può essere annullato d'ufficio anche nel caso in cui:
- siano decorsi i termini previsti per ricorrere, ovvero l'atto sia diventato definitivo;
- il ricorso sia stato presentato ma respinto con sentenza passata in giudicato per motivi di ordine formale (inammissibilità, irricevibilità, improcedibilità, ecc.);
-vi sia pendenza di giudizio;
- non sia stata prodotta in tal senso alcuna istanza da parte del contribuente.
In pratica, la legge prevede che l'amministrazione finanziaria possa annullare l'atto, di sua iniziativa, anche qualora il contribuente non ne abbia fatta richiesta e indipendentemente da quanto tempo è passato dall'emanazione dello stesso.
Può farlo, inoltre, pur se l'atto è oggetto di vicende processuali, con unica eccezione il caso in cui sia stata emessa una sentenza passata in giudicato inerente il merito della controversia (giudicato sostanziale). Se i motivi di merito della sentenza sono diversi da quelli rilevati dall'amministrazione, l'azione di autotutela può invece essere esercitata.
La valutazione dell'amministrazione, ovvero dell'ufficio che ha emesso l'atto, deve essere in tal caso autonoma ed indipendente da eventuali altri giudizi.
Se dalla verifica viene rilevato che l'atto è annullabile, in tutto o in parte, l'amministrazione deve procedere, inviando al contribuente una comunicazione motivata, ed eventualmente, un nuovo atto sostitutivo del precedente.
Secondo la legge, e a quanto ha ribadito il ministero delle Finanze con la circolare suddetta, non vi è a carico dell'amministrazione finanziaria un dovere giuridico in tal senso. Si tratta di una semplice facoltà discrezionale, il cui mancato esercizio non può essere in alcun modo contestato.


Riesame su richiesta del contribuente


La procedura di annullamento può avviarsi anche su richiesta del contribuente, che può presentare istanza in carta semplice.
Su di essa deve specificare:
- l'atto di cui viene chiesto l'annullamento (totale o parziale);
- i motivi per cui si ritiene tale atto illegittimo e quindi annullabile, in tutto o in parte (per i motivi già esposti, ovvero errore di persona, errore logico o di calcolo, errore sul presupposto dell'imposta, doppia imposizione, mancata considerazione dei pagamenti già effettuati, presenza di requisiti per fruire di agevolazioni o riduzioni, errore materiale del contribuente, etc.). Tali motivi devono essere opportunamente documentati.
La domanda deve essere presentata all'ufficio (di competenza) che ha emesso l'atto.
Nel caso si sbagli ufficio, quello che riceve l'istanza deve comunque consegnarla all'ufficio di competenza.
L'ufficio competente al riesame deve, nel caso in cui l'importo dell'imposta e delle sanzioni superi i 516.456,90 euro, sottoporre il caso al parere della Direzione Regionale da cui dipende. Tale parere è necessario anche qualora l'importo non sia facilmente determinabile ma si possa comunque supporre che esso superi la soglia. Il parere è vincolante e deve essere riportato nell'atto finale con cui l'ufficio comunicherà al contribuente l'esito del riesame. La Direzione Regionale non deve intervenire, invece, nel caso in cui l'istanza venga rigettata dall'ufficio competente.
Si avvale dell’opera della Commissione per l’autotutela che ha il compito anche di fornire il suo parere in caso di grave inerzia, di monitorare periodicamente la corretta applicazione dell’istituto dell’autotutela ed il funzionamento degli uffici dell’Amministrazione finanziaria.
Dopo aver esaminato l'istanza e l'atto contestato, l'ufficio deve provvedere ad annullare o correggere lo stesso oppure a rigettare l'istanza, dandone comunicazione al contribuente e fornendo le motivazioni della propria decisione (ai sensi della legge 241/90 e dei principi ribaditi dallo statuto del contribuente).
L'eventuale annullamento, sia che scaturisca dall'iniziativa dell'ufficio sia che derivi dall'esame di una richiesta del contribuente, riguarda in automatico anche tutti gli eventuali atti successivi a quello esaminato (per esempio la cartella esattoriale che segue l'avviso di accertamento) e comporta il rimborso di tutte le somme riscosse in base a questi atti.


La sospensione degli effetti dell’atto


La presentazione dell'istanza di autotutela non sospende automaticamente i termini per la presentazione del ricorso (presso l'organo competente, giudice di pace, ordinario o tributario a seconda dei casi), nè quelli di pagamento, ambedue di solito di 60 giorni.
Considerando che i procedimenti spesso durano più di due mesi, è bene chiedere, presentando l'istanza, la sospensione di tutti gli effetti dell'atto contestato, compreso il termine di ricorso.
Se ottenuta, la sospensione termina con l'eventuale notifica di un nuovo atto modificativo o confermativo di quello contestato. In questa ipotesi il termine per
ricorrere riparte, e il contribuente potrà impugnare, con un successivo ricorso, ambedue gli atti.
Se la sospensione non viene ottenuta, è consigliabile presentare, prima che il termine decorra, il ricorso vero e proprio (in commissione provinciale tributaria per esempio), per non rischiare che esso diventi inammissibile.


Inerzia della Pubblica Amministrazione


Si ha inerzia nel momento in cui l'ufficio competente, sollecitato dalla stessa amministrazione o dall'istanza del contribuente, non proceda al riesame dell'atto oppure non comunichi l'esito del riesame al contribuente che ha inoltrato la richiesta.
L’inerzia diventa inerzia grave quando:
- l'ammontare delle imposte, interessi e sanzioni supera i 516.456,90 euro;
- il lasso di tempo intercorso tra la presentazione dell'istanza e la grave inerzia sia irragionevolmente lungo;
- vi sia stato un errore di persona (o sul presupposto) oppure una duplicazione dell’importo,ovvero quando sull’atto vi sia un vizio rilevante e sostanziale ai sensi di quanto previsto dal decreto ministeriale n. 37/1997.
Relativamente all'elemento temporale, inoltre, tra le ipotesi di “grave” inerzia vi sono anche:
- il mancato esame protratto nel tempo dell'istanza tout court;
- la mancata richiesta del parere alla Direzione Regionale delle Entrate nei casi in cui è obbligatorio;
- il mancato riesame prima della scadenza dei termini di impugnativa (in quanto con la presentazione del ricorso già potrebbe verificarsi un'ipotesi di danno);
- in corso di giudizio per il protrarsi del silenzio dalla data di presentazione dell'istanza e fino al compimento di ulteriori atti processuali (ad esempio, fino
all'udienza di trattazione del ricorso);
- il prolungato silenzio a fronte di istanza su atti definitivi ove non ricorra la preclusione del giudicato sostanziale.
In tutti i casi di grave inerzia deve intervenire la Direzione Regionale dalla quale dipende l'ufficio competente che, d'ufficio o su istanza del contribuente, dovrà sostituire l'ufficio nella sua attività accogliendo o respingendo l'istanza o annullando l’atto.


Conclusioni


Una semplice considerazione è da farsi sull’accezione contenziosa delle controversie tra contribuente e amministrazione finanziaria rispetto alla quale, non bisogna ritenere di assistere ad una lite tra due soggetti rivali e portatori di interessi contrapposti. Infatti, se da un lato esiste l’interesse del cittadino a non pagare più di quanto è tenuto a fare alla luce della sua capacità contributiva, dall’altro esiste l’interesse superiore dello Stato a che tutti contribuiscano alle spese pubbliche per costruire un benessere collettivo e non certo di parte.
Le sfide delle moderne società civili, in termini di nuove e crescenti esigenze di benessere sociale, impongono agli stati, che a ciò ambiscono di massimizzare le proprie risorse evitando sia gli sprechi sia i fenomeni dell’evasione e dell’elusione dell’imposizione tributaria. Tali fattori costituiscono il vero male incurabile degli stati moderni che logorano i cittadini che adempiono al loro dovere a fronte di quella gran fetta della popolazione che in diversi modi e tempi riesce a trovare la scappatoia per non pagare tasse e imposte.
Il legislatore ha ritenuto opportuno delineare degli strumenti volti a creare un punto di incontro che può sfociare tanto nell’ammissione di un errore da parte
dell’amministrazione finanziaria, in sede di autotutela, quanto in una maggiore imposta concordata col fisco tenuto conto di opportune e valide giustificazioni fornite dal contribuente, e quanto, infine, nel perseguimento fino all’ultimo grado di giudizio dell’interesse pubblico all’esatta e corretta riscossione delle imposte evase o eluse, nel caso in cui non vi sono margini per giustificare la diversità del maggior importo determinato in sede di accertamento tributario rispetto a quello riscontrato nella realtà dei fatti.

 

Relazione di:
Maria Adriana Ullasci
Maria Elena Palmas

Università degli Studi di Cagliari
Facoltà di Scienze Politiche